Fashion Blogger: la schiavitù volontaria del XXI secolo

01:36:00


Quando qualcuno mi chiede come diventare Fashion Blogger di professione io per prima cosa arriccio il naso poi gli consiglio subito di cambiare strada.
Perché se la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, stilata nel 1948 sancisce l’abolizione ufficiale di qualsiasi forma di schiavitù, il movimento abolizionista non ha ancora contagiato oggi innumerevoli aziende, convinte  di poter disporre del lavoro delle giovani leve, senza nulla dovere in cambio, forti dell’eccellenza del proprio nome. Solo che nel 2014 i “nuovi schiavi” sono consapevoli e accettano lo sfruttamento abbagliati dall’offerta di un bene come compenso del proprio operato.
Quello delle Fashion Blogger è un fenomeno che ha saputo spaccare il mercato a colpi di outfit.  Nel 2007 fare il/la Fashion Blogger poteva essere una nuova strada da percorrere in termini professionali, un nuovo veicolo di comunicazione, insomma l’obiettivo c’era e si poteva ancora toccare.
Nel 2014 invece Fashion Blogger sembra essere un’etichetta capace di rappresentare una categoria in grado di trasmettere alle aziende la semplice equazione: product placement = pubblicazione o per meglio dirla in termini aritmetici più forbiti,  prodotto : fashion blogger = notizia : giornalista (Non consideriamo per il momento il fatto che il giornalista non vedrà a fine mese solo notizie in busta paga. Si spera). Il risultato rimane sempre quello di una pubblicazione capace di veicolare la presenza di un marchio  senza sforzi economici.
Quasi un’epidemia. 
Nasco anche io come Fashion Blogger, non rinnego le mie origini e mi costa questo insulto alla categoria ma è un dato di fatto che oggi il mondo delle Fashion Blogger è cambiato.
In peggio.
Il fenomeno Chiara Ferragni ha aperto le porte alla concezione che il web è il primo canale per la comunicazione attraverso nuovi metodi di approccio. Benissimo. Ma d’altro canto ha anche creato la falsa aspettativa di facili guadagni nella testa di una folla di adolescenti che si riducono a lavorare gratuitamente al solo scopo di possedere la clutch dei sogni.  Spesso elemosinandola con la promessa di una recensione.
Cafonissimo e quantomeno triste.
Girare per gli show room selezionando i prodotti più in linea con le aspettative dei consumatori, comporre gli outfit che sappiano rappresentare il trend per i target di riferimento, realizzare servizi fotografici, scrivere testi di accompagnamento, coordinare una corretta attività Seo e Sem sono lavori a tempo pieno che non possono e non devono prescindere da un conoscenza, quanto meno basilare, delle teorie della comunicazione e del marketing. Mi stupisco ogni volta vedendo aziende pronte a gettare la loro immagine in pasto a ragazze diversissime tra loro, spesso giovanissime, fregandosene di dare un taglio specifico alla comunicazione. Vedo immagini aziendali logorate dalla mancanza di analisi del sentiment provocato da queste attività scriteriate, pubblicazioni piene di commenti negativi o peggio, commenti finalizzati alla mera pubblicizzazione del blogger commentante, sintomo che il messaggio non solo non è stato percepito ma è stato addirittura ignorato.
“Bene o male purché se ne parli” parafrasando il celebre aforisma de “Il ritratto di Dorian Gray”, Oscar Wilde non sapeva che 114 anni dopo la sua scomparsa sarebbe diventato il Guru della comunicazione 2.0, requiem per la web reputation.
Povera reputation, e pensare che sono stati scritti interi saggi per sensibilizzare il popolo della rete verso questa arguta pratica mentre oggi, a colpi di cambio merce, rischiamo di sputtanare (passatemi il termine) ben 3 categorie in solo colpo (aziende, Blogger amatoriali e Blogger professionisti ndr). L’approccio di questo 2014 mette i brividi; supportate da una poco favorevole congiuntura economica le aziende si ritrovano ad elargire borsette e T-shirt in cambio di una pubblicazione sui  blog. Il rischio è quello di ritrovarci sommersi da post scritti in maniera pressoché identica, con testi spesso copia dei comunicati stampa.
Una noia incredibile.
Dall’altra parte si vedono Blogger inesperte avanzare contro offerte economiche che valorizzano post e tweet come fossero banane al mercato. Senza avere bene in chiaro cosa va valorizzato e come.
D’accordo che nel 2014 l’unica possibilità per emergere è crearsi un lavoro e poi renderlo remunerativo, ma con un po’ di grazia per Dio.
Il know how nell’ambito commerciale è indispensabile per l’ottenimento di una remunerazione  e allora via libera a colpi duri di offerte e controfferte che cercano di risollevare le sorti del Blogger, quello vero, quello con un background professionale sviluppato nei settori della comunicazione a forza di legnate sui reni, quello che rincorre l’obiettivo professionale del 2007 portandosi addosso tutta la mia stima, soprattutto se il commerciale se lo fa da solo.
Autoimmolarsi sull’altare della sensibilizzazione all’aspetto economico è una mossa difficile spinta da un disperato quanto comprensibile desiderio di vedere valorizzato il proprio lavoro. Perché di questo si tratta. E non può essere retribuito solo in borsette. Né in scarpe, perché poi, a conti fatti, quando andiamo a pagare le bollette, l’impiegato della posta potrebbe non essere interessato alle nostre decolltè di pelle di unicorno albino con soletto anatomico in pelo di Tamandua Messicano intrecciata a mano dagli aborigeni dell’Amazzonia. Tanto per dire. 
Ma allora a questo punto in che modo è possibile porre fine allo scandaloso mito della Fashion Blogger a tutti i costi e del lavoro non retribuito?
Differenziando.  
Ben vengano le Fashion Blogger amatoriali, quelle che fanno scouting e reperiscono in rete materiale per le loro pubblicazioni senza chiedere compensi in cambio, consapevoli di operare spinte dalla passione e non dalla certezza di un valore professionale (che anche se c’è, per coerenza, non dovrebbe essere ostentato).
Ben vengano i prodotti tester in previsione di una pubblicazione, che siano gentili omaggi o mera conto visione.
Ben vengano anche i Blogger professionisti, quelli che costituiscono gruppi, si dedicano alla pianificazione di attività di comunicazione, alle strategie di marketing, allo scouting (non n’do cojo cojo, il rischio dell’essere riconosciuti come marchettari è dietro l’angolo), all’analisi, al monitoraggio, all’indicizzazione, alla stesura di articoli in forma redazionale.
Ma soprattutto ben vengano le aziende e gli uffici stampa che, con consapevolezza dei propri obiettivi, sanno scegliere ciò che è meglio per l’immagine aziendale, il testimonial e il blog che sappiano aumentare la brand awareness tenendo conto della web reputation, la strategia che sappia fidelizzare per soddisfazione delle aspettative e non solo per uno spam ben operato. Altrimenti come la mettiamo poi, in termini di ROI?
Quello che vorrei è che fosse più chiaro il messaggio che non basta essere presenti in rete per ottenere un ritorno dell’investimento ma bisogna saper scegliere su quali canali è meglio esserci. E pagarli, quei canali. Perché il lavoro, di qualsiasi tipo esso sia e specialmente se richiesto da un Committente, va retribuito. Nel rispetto delle persone che, con passione e professionalità svolgono quel lavoro dedicandogli tempo e fatiche, innamorandosi dei progetti e presentando piani strutturati e non un post e poi tanti saluti. Sono stanca di vedere schiere di personaggi, colleghi dall’indubbia capacità che si affannano nell’upload di post con la stessa dedizione degli operai cinesi rinchiusi nei sottoscala di Paolo Sarpi, per poi ottenere come compenso un cappellino ed una chiavetta USB.
Di questo passo la comunicazione aziendale sarà uno strumento alla portata di tutti, anche mia mamma, che ha difficoltà a capire la differenza tra Google e Mozilla potrà essere definita Social Media Manager perché pubblica su Facebook, ed essere contattata per il supporto alle Start Up. Il lavoro verrà compensato con prodotti di prima (si fa per dire) necessità e si tornerà al baratto. Certo, se questa formula ci permettesse di pagare anche Imu ,Tasi e spesa all’Esselunga con un paio di calzini firmati l’idea potrebbe non essere poi tanto male.  
Elena Palieri

Post scriptum: il discorso della non retribuzione vale purtroppo per tantissime altre categorie professionali, dentro e fuori dal web. Una mano sulla coscienza sarebbe quanto meno opportuna (ndr).

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15 commenti

  1. Ciao Elena,
    condivido con te l'opinione che hai espresso su questo post e lo faccio trovandomi a ricoprire più figure:

    - La giornalista di moda
    - La blogger professionista
    - La consulente di comunicazione

    Spero che la situazione generale possa migliorare, almeno con una scrematura. Ma questa operazione è già in corso... Per il resto l'obiettivo è sempre lavorare bene con le mani sulla tastiera invece che con i piedi.
    Buona giornata!

    Francesca
    www.theglossymag.com

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    1. Ciao Francesca,

      ti ringrazio per il supporto all'opinione e ti do pienamente ragione sulla necessità di mantenere alta la qualità del lavoro, continua così :-D
      Un abbraccio
      Elena

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  2. già brand awareness e web reputation questa sconosiute... trovare aziende che retribuiscono blogger che erano solite fino a ieri diffamare pubblicamente e in privato con le aziende altre colleghe blogger è davvero triste solo per fare un esempio. Io, se fossi azienda, prima seguirei a lungo un blogger per decidere come e se mettergli in mano il mio nome. E, per contro, vedere marchi che, se tu esprimi una sincera opinione rispettosa mettendo in luce i punti in cui potrebbeto migliorarsi, decidono di scansarti in favore di copia/incollatori del comunicato stampa per rifuggire il dialogo onesto dove lo mettiamo? Ti stimo per questo post... ma speranza comincio ad averne poca, bisogna trovare un nuovo linguaggio forse non so...

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    1. *queste sconosciute, ma come digito con i postumi di pasqua? Haha

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    2. Ti ringrazio per il supporto Marged, non lasciare che la speranza diminuisca, accade anche a me purtroppo ma è non possiamo e non dobbiamo soccombere, sono sempre più convinta che insieme si possa fare la differenza
      Un abbraccio grande!
      Elena

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    3. sì, sarebbe bello che anche in un paese dove la mediocrità è un merito e l'unione fa la forza solo nel caso di mobbing, ma mai nel caso di reali collaborazioni sinergiche, che da persone con gli stessi valori e ideali nascessero progetti interessanti... chissà...

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  3. Ben detto,Elena.Sei una forza della natura :D Speriamo in un futuro migliore!!
    Un abbraccio
    Federica

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    1. Grazie Federica, il tuo supporto è sempre splendido!

      Un mega abbraccio!
      Elena

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  4. Post interessante e che condivido in pieno: hai fatto un'analisi chiara e veritiera del fenomeno fashion blog odierno: purtroppo, a mio avviso, in Italia ha perso il suo valore e significato originario: tanto che ormai preferisco leggere e "sfogliare" più blog stranieri che quelli nostrani, le blogger italiane somigliano sempre più a un covo di galline che litigano per avere in regalo qualche pezzo di stoffa. Quanto ai brand italiani, spesso resto allibita da come diano in pasto, come dici tu, la loro immagine a ragazze inesperte, prive di gusto e di capacità di scrivere due righe in italiano decente. Misteri del marketing aziendale...
    Bel post! Ciao : )
    Alessandra
    http://stylosophia.wordpress.com

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    1. Ciao Alessandra, ti ringrazio per il supporto e sono felice di conoscerti qui su Mixelchic; hai ragione tu: misteri del marketing ma non così complessi da svelare ... L'importante è iniziare a scavare e dissotterrare le "vergogne" :-)
      Un abbraccio grande
      Elena

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  5. Ottimo articolo Elena, da persona che lavora online dal 2006 so benissimo ciò di cui parli, e non è solo per il mondo della moda così, anche il mondo dell'elettronica e dell'high tech, giusto per fare un esempio, è spesso così.

    Bella analisi del fenomeno e della professionalità vs. l'amatorialità (che comunque è sempre ben accetta)!

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    1. Ti ringrazio per il tuo commento Valerio, certo, professionalitá e amatorialitá possono benissimo coesistere, ma non fondersi...è questo il problema ahimè
      Un abbraccio
      Elena

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  6. Guarda caso sul mio blog proprio oggi parlo di queste cose, ma in termini più generali.

    Concordo da alfa a omega.

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    1. Ciao Alessandro, mi piace il tuo modo di concordare ;) Passo sul tul blog a leggere la tua interpretazione!
      Un abbraccio
      Elena

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  7. Proprio bello questo post, e condivido moltissimo il discorso. Per me è difficile scegliere con chi collaborare e per cosa e molto spesso dico di no a tutto salvo scarsi prodotti che mi interessa davvero testare o marchi che già conosco e stimo.

    Se sapessero davvero che in questo vasto panorama di blogger è meglio scegliere chi è nel trend della campagna che vuoi fare e non sparare nel mucchio, ci sarebbero messaggi più mirati e blog di qualità più alta.

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