Mariano Medda: il vero giornalismo porta il tuo nome

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Silenzio stampa. All'inizio ho pensato che fosse la soluzione migliore. 

Ma poi ho pensato che tu, invece, fotogiornalista antispannometrico e culturalvegano, di quella stampa ci vivevi e non è giusto che i giornali parlino solo di come è finita. Io voglio che le persone sappiano soprattutto come è durata. 

Voglio che le persone che tu hai nutrito con immagini, fotografie e articoli affilati, possano conoscerti e sorridere per quanto di bello tu hai combinato. Basta con la tristezza accidenti, sei stato qualcosa di bello e come una cosa bella devi continuare a esistere.


Questa è la prima lettera aperta che ti scrivo, in 7 anni, mettendo in copia conoscenza tutto il popolo del web, quello che tu, dannato smanettone, coccolavi raccontando favole dal mondo, con la tua penna tagliente e quella tua inseparabile macchina fotografica.

Una Nikon, una tua appendice oramai, dalle dimensioni di uno shuttle Nasa che, non si sa come, riuscivi sempre ad infilare nel tuo minuscolo borsello e portarla in giro a tracolla con la stessa eleganza con cui  sfoggiavi quegli orribili pullover arancioni.  

Per fortuna però, almeno un completo scuro lo avevi, anche se ci abbinavi sempre quella camicia simile più che altro ad un sacco di iuta, che usavi chiudere fino al collo, in una versione pseudoclericale, accidenti a te. Che mancanza di stile. 
Però eri affascinante anche così, e al party Blackberry allo Sheraton Dyana Majestic, quella sera, la nostra entrata trionfale l'abbiamo fatta lo stesso. Un po' goffa, un po' emozionata, un po' troppo comica. 

Come comici eravamo noi due insieme, Mariano Andrea Medda. Comunque ce l'abbiamo fatta. 
Anche se tu ne sei uscito stornellando Elvis e la sua Blue Suede Shoes che tanto ti riusciva bene quando la cantavi insieme a Gio, con la Ibanez Blu appena comprata e il cappello da Cowboy in testa. 

Non sarei mai arrivata qui, senza di te

Mi hai insegnato tutto sul mondo della comunicazione, fotografandomi maldestramente quando ancora tu non eri un fotografo, e io non ero una blogger.

Però siamo diventati amici. 

Hai sostenuto il mio progetto Mixelchic fino alla fine, e come si incazzava Gio - mio marito e tuo migliore amico (ma che dico, eravate fratelli maledizione!) - quando passavamo intere serate al Colombo a parlare del mio blog! 

Eh si, in fondo eri un cavaliere. Di quelli che ti aprono ancora lo sportello della macchina. Ti tendono la mano per scendere. Ma poi si dimenticano e ti mollano traballante in 20 cm di melma. Perché noi le serate solo in campagna. Solo a Magenta. 

E sempre sotto casa tua il puntello. Mi raccomando. Puntuali - noi - alle 21,15. Tu, mio caro Mariano Andrea Medda, tranquillo, con 15 puntuali minuti di ritardo. 

Ma sempre sul pezzo

Sempre bastardamente sul pezzo, come il tuo primo blog. Di taglio culturalgiornalistico però, niente scherzi. 

Sul pezzo come quando leggevi la mia tesi di laurea correggendo anche le virgole. Fortuna che non sei stato accettato come contro relatore. Saremo li ancora adesso a puntigliare sull'utilizzo del nero o del grigio nella psicoterapia cognitiva sul mercato del lusso. 

Che poi, noi, di lusso alla fine ne abbiamo avuto ben poco. 

Soprattutto nelle solenni imprecazioni che venivano liberate quando tu restavi indietro di 40 km, perché, nonostante pilotassi un bolide, non superavi i 60 km/h e per solcare la Panoramica Zegna fino ad Oropa ci abbiamo messo un giorno intero. 

Il Corriere della Sera ti ha definito un "Blogger di 35 anni" e io sorrido, mentre immagino la tua testa che scatta nervosa, come ogni volta in cui non sei d'accordo con qualcosa, e tu, mio caro Mario, non saresti proprio stato d'accordo ad essere chiamato Blogger. E nemmeno a vedere pubblicata la tua età. Che vergogna! Proprio tu, che per i tuoi 30 anni invece di un invito ad una festa hai inviato un epitaffio

Tuttavia ti immagino, tronfio e tracotante (avrei detto fiero e orgoglioso ma ho scelto di usare le tue stesse parole, quei neologismi pieni di boria psicogiornalistica che usi per divertire il tuo pubblico) con un boccale di HB in mano mentre ti pavoneggi perché la stampa non ti ha dimenticato. 

Perché, checchè tu ne dica, mio caro fotogiornalista emozionalsmanettone, la stampa ti (ri) conosceva eccome. 

Sapevano tutti chi c'era dietro a quelle emozioni firmate MMedda, scritte, filmate e bloggate tra Magenta, il Nivolet e il resto del mondo. 

Sapevano tutti che hai vinto sulla vita. Che hai frequentato la business school del Il Sole 24 Ore, che eri un giornalista la cui penna feriva più di un coltello da bistecca. Che sorridevi sempre e avevi gli occhi luminosissimi, ma che, se qualcosa non andava, assumevi l'espressione incazzata di chi ha appena succhiato un limone. E qualcosa che non andava tu la trovavi sempre. 

Ma alla fine poi ti adattavi come quando, dandy eccezionalregale innamorato di Bruce Springsteen, sei arrivato avvolto nel tuo accappatoio di pura spugna azzurra, con lo sguardo altezzoso, l'asciugamano in cotone egiziano e la tua pochette verde bosco contenente il set da bagno, per lavarti nel fiume melmoso del Country Club di Voghera. 

40 gradi all'ombra. Le ciabatte blu, i capelli bagnati. Il grande Gatsby ti ha sempre fatto una pippa. 

Quello che non sanno però, è che sei stato un amico vero. Una benedizione sorridente che ha sempre teso la sua mano su me e Gio. 

Non sanno che tu (ti rubo le parole Pietro Saino), maledetto smanettone, hai trovato il modo per inviarci tutto il tuo reportage del posto, non segnato sulle mappe, che oggi hai raggiunto. E che da ora in poi, ogni cosa bella che vedremo sarà una tua cartolina. 

Non sanno che, se mai un giorno avrò un bambino, si chiamerà Mariano Andrea







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